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Un pezzo di carne 97

tosuolo, dalle quali una scaletta conduce al giardino, portandomi giù solo il letto dov’è morto lui e la macchina da cucire.

Come puoi pensare non facevo che piangere: la notte sognavo di lui e di tutte le cose care lasciate, con l’impressione di esser io la morta: morta e sepolta sotto la nostra casa. Nessuno più mi cercava nè io cercavo nessuno. Con la somma depositata per garanzia dai miei inquilini avevo sistemato tutti i miei impegni, e mi restava il necessario per arrivare alla fine del mese: inoltre avevo qualche lavoro di cucito, procuratomi appunto dagli stessi inquilini. Era una famiglia straniera, di profughi, ricchi ma disordinati, con cameriere e bambini che giocavano tutto il giorno fra di loro rincorrendosi come matti nel giardino. Di sopra si suonava e si cantava, e si ballava anche, sebbene nel contratto questo fosse proibito. Era insomma un chiasso continuo; ma il fitto stabilito era talmente vantaggioso per me che lasciavo correre. Ero poi così piegata dal mio dolore, così distaccata da tutto, che nulla più mi premeva. Vivere per tacere e aspettare la grande ora. Eppure il poco riguardo di quella gente, che sapeva di aver sotto i piedi una pena come la mia, accresceva il mio accoramento. I bambini e le serve, poi, erano anche, sia pure senza volerlo, veramente crudeli. I loro giochi, le risate, gli urli davanti alla mia finestruola, irri-