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Ritornarono davanti alla casetta: rassicurato dall’indifferenza di lei, ma sopratutto dalla sua, egli la invitò ad entrare.
Ed ella entrò, senza diffidenza, anzi con una semplicità quasi ostentata, badando solo a carezzare il gatto che sonnecchiava sullo spigolo della tavola.
— Non si guarda attorno per non mortificarmi, — pensò Cristiano. Ma lui non si mortificava, no: non aveva vergogna della sua casa povera, lui: solo gli pareva che la donna osservasse con pietà il tappeto di tela cerata.
Ella, invece, gl’invidiava il gatto.
— Com’è bello! Sembra un ermellino: conforta il toccarlo! Da noi non è possibile tenere dei gatti perchè il cane li strozza tutti: non per crudeltà ma per gelosia. Ho provato a fargliene vedere uno appena nato, con gli occhi ancora chiusi: lo accolse più ferocemente degli altri.
— Ma si accomodi, signora....
Egli non sapeva ancora il nome di lei.
— Sarina, — ella disse con dolcezza: e sedette accanto alla tavola, con la mano sulla schiena inarcata del gatto, continuando a parlare del suo cane.