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rara crisi, quando il tempo è burrascoso. Del resto, è stato sempre calmo: non parla, non si agita, ma capisce tutto. Nei primi tempi della malattia lo portavo a passeggio con me: era tanto invecchiato che pareva mio padre, e quelli che c’incontravano ci guardavano con pietà: fu il primo lui ad accorgersene e non volle più uscire di casa.
I medici venuti a visitarlo mi ordinarono di condurlo fuori, di fargli cambiare ambiente. Avrei dovuto lasciarlo solo, perchè pare che la cura per queste malattie sia il far dimenticare al malato l’ambiente e le persone con le quali ha vissuto: come era possibile lasciarlo? Dove condurlo?
— In una casa di salute.
— Mai! — ella protestò con terrore, — piuttosto vederlo morire. E così venni anch’io. Non ho nessuno, al paese, e neppure la casa era nostra. Come potevo restare sola laggiù? Avevo già paura a restarci con lui. Paura, sì; in fondo, il paese dove si vive è come tutto una nostra casa, una nostra famiglia: tutti sanno i nostri affari, i nostri guai, le nostre debolezze: e il giudizio di chi ci conosce così bene ci dispiace perchè quasi sempre è giusto! Si è sotto tutela, sotto controllo: allora viene il bisogno di fuggire, di essere liberi. Liberi di soffrire, sopratutto, di abbandonarci al nostro