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Dopo cena accese la lampada grande, come nelle sere d’inverno, e aprì un libro sul tappeto lucido, sopra la scritta «New York City». Il gatto gli si mise accanto, sulla tavola, e cominciò a fissare attentamente, con le pupille allargate, la pagina ch’egli leggeva: poi, quando egli voltava la pagina, lo guardava in faccia come per scrutare l’impressione che la lettura gli faceva.

D’improvviso l’abbaiare del cane risonò davvero, lì vicino: pareva dietro la porta: e qualcuno batteva al legno del cancello.

Il gatto balzò giù: l’uomo si alzò con la sua solita impazienza. Dio, ecco che la pena incominciava. E la donna aveva promesso di legare il cane. E se fosse lei e avesse bisogno di qualche cosa?

Con impeto, ancora prima di rendersi ragione di quello che sentiva, aprì la porta; e subito si avvide che tutto era illusione della sua fantasia.

Il cane abbaiava di là dalla siepe, forse legato ad un albero: in fondo al vialetto il cancello si disegnava nero sullo sfondo del sentiero illuminato dalla luna: nero e solitario come il cancello di un cimitero.

Deledda, Il segreto dell’uomo solitario 3