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Non so ancora perchè desideravo che il nostro benefattore morisse presto, che la figlia ci mandasse via: forse era un presentimento, la visione istintiva di quello che altrimenti doveva succedere.

Il benefattore non pensava a morire. Lo incontravo quasi tutti i giorni, grasso, rosso, ansante di benessere: lo salutavo e passavo di corsa pauroso che egli mi fermasse: ma in fondo sentivo ch’egli non pensava a fermarmi e il più spesso neppure mi vedeva.

Intanto studiavo: il mio scopo, più che di guadagnarmi buoni punti, era di farmi esentare dalle tasse: e ci riuscivo. Del resto lo studio mi era facile: capivo tutto. La mamma lavorava: spesso andava a cucire a giornata: allora stavo solo in casa e facevo tutto da me, la pulizia, la cucina; lavavo e stiravo, fischiando e cantando come un merlo. Erano giorni felici, perchè da lontano sentivo di amare la mamma con tenerezza infinita e mi pareva di aiutarla lavorando per lei, mentre se lei era in casa soffrivo nel vederla lavorare per tutti e due.

Quello che notavo era che essa non andava mai a lavorare dai nostri ricchi parenti, che pure dovevano aver cucitrici e sarte tutti i giorni in casa. Era lei che non voleva o loro che non la chiamavano? Non glielo domandavo, ma ero contento che così fosse.