lenzio guardando il viso di lei che già si copriva di un velo di tristezza se non ancora di diffidenza: — ma non è tutto. Ti ho già raccontato che feci un matrimonio d’interesse. Lei era la proprietaria del palazzo dove noi si abitava: era più vecchia di me di dieci anni. Ma aspetta, voglio raccontarti tutto. Noi, io e la mamma, eravamo suoi lontani parenti e lei ci aveva beneficato: la mamma, rimasta vedova giovanissima con me bambino, senza mezzi, senza possibilità di procurarsi, in quei tempi, un lavoro sufficiente a farci vivere, in un momento di disperazione era ricorsa a questa parente o meglio al padre di lei che pure godeva fama di avaro e di usuraio. E quest’uomo ci aveva accolto nel suo palazzo, che era poi una di quelle immense case d’affitto gonfie di cornicioni, che fanno melanconia a guardarle. I proprietari, padre e figlia, abitavano il primo piano, prima scala, con loggie d’angolo riparate da tende e stuoie: noi salivamo i cento sessanta gradini della terza scala per arrivare all’appartamento di due camere e cucina che guardava sul cortile e sui tetti. La mamma tutte le sere mi faceva recitare una preghiera per il nostro benefattore e per la sua famiglia. E fin lì ci arrivavo: pronunziavo ad alta voce i versetti della preghiera e le