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deforme, pallida tra i fiori rossi del suo scialle, gli pareva che anche lei facesse parte della primavera; pure lei col suo frutto dentro; e faceva il calcolo dei mesi, ostinandosi a credersi ingannato da Chiana, e cioè che il figlio non fosse suo.

Ella indovinava questo pensiero; disse col suo solito accento sommesso:

— Son quasi sette mesi che il mio Alessandro è tornato: proprio il tre del mese entrante fanno sette mesi, e verso quel tempo, se Dio vuole, nascerà la creatura. Passerà per essere una settimina: sono d’accordo con la comare, che è buona ed ha compassione delle disgraziate come me. Eppoi le ho dato l’anello vostro: non avevo altro, e non potevo metterlo, l’anello. Anche la mia vecchia crede, o finge di credere che io sia al settimo mese. Se Dio vuole tutto andrà bene. Anche il mio Alessandro è contento.

Aspettò ch’egli dicesse qualche cosa: egli taceva, a testa bassa come lei, e non sapeva che dire.

— Solo il vecchio non sembra contento. Non dice niente, ma sta sempre a contare sulle dita, e quando mi parla non mi guarda in faccia. Eppoi grida per ogni piccola cosa. Si capisce che sospetta... Io ho paura di lui: ho paura che Dio mi castighi per mano del vecchio. Adesso è da tre giorni a letto