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color marrone come un frutto guasto, e s’incrociava sul seno, con le frangie ricadenti sul ventre sporgente. La gonna corta davanti lasciava vedere i piedi grossi con le calze turchine e le scarpe infangate.

E il suo sguardo era bieco e smarrito; il respiro ansante: pareva una bestia inseguita.

Entrò risoluta, ma poi aspettò che Cristiano chiudesse e la precedesse, come altre volte. Ed egli chiuse, e la precedette, come altre volte, ma pareva più smarrito di lei. Se la sentiva alle spalle, ansante, pesante, e chinava la testa come se il peso di lei gli gravasse sul collo.

La gioia di poco prima era caduta: l’ombra antica lo riavvolgeva.

Arrivati alla porta. Ghiana accennò a sedersi sulla soglia; egli le ordinò ruvidamente di entrare e la costrinse a sedersi accanto alla tavola.

— Ebbene, — disse scuotendo la testa in segno di rimprovero, — che c’è? cosa sei venuta a fare?

Ella parve cercar la risposta, a testa bassa, nascondendo coi lembi dello scialle il ventre che si sollevava e s’abbassava, ma la risposta era in quest’ansia stessa, e Cristiano si sentiva preso da un tremito che non era più di rabbia ma neppure di gioia. Cercava di non guardarla e non poteva. Pure così