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tenza. Egli era annoiato e corrucciato, sì, ma d’una noia e d’un corruccio che risalivano ad un tempo lontano, e che non sarebbero svaniti se non con le stesse sembianze che li esprimevano.

La vedova gli toccò le dita, ch’erano la cosa più fredda ch’ella avesse mai toccato, gli aggiustò i fiori sul petto; si sollevò più pallida e rigida dei due ceri che la fiancheggiavano, e per alcuni momenti stette immobile a contemplare il lettuccio con sgomento misterioso, come ferma fra le colonne d’un portico spalancato verso l’eternità. La serva la prese per il braccio e la ricondusse al suo posto, nell’angolo dell’ottomana.

Nell’altro angolo sedeva Cristiano, con un viso stanco, ma con gli occhi lucidi di buona volontà. Anche lui aveva vegliato tutta la notte, dopo essere stato di nuovo al paese per avvertire il dottore e provvedere per il trasporto funebre.

Ed era stato lui a far la barba al morto, ad aiutare a vestirlo; e al chiaro di luna aveva colto i pochi fiori del suo giardino nudo per ornare il cadavere. Adesso bisognava aspettare il dottore per la constatazione della morte. Aspettavano dunque, lui e la vedova, seduti sulla stessa ottomana, rigidi come i ceri davanti al morto: senz’altra preoccupazione che quella di rendere