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la distanza, che fosse proprio a metà e corrispondesse ai piedi e alla testa del morto.

Poi dagli altri quattro sacchi trasse quattro grandi candelabri d’oro, e quattro ceri che piantò su di quelli, grossi, lisci e pallidi come piccole colonne di alabastro.

Li accese uno dopo l’altro, con lo stesso fiammifero che in ultimo ebbe cura di buttare dalla finestra. La finestra era spalancata, finalmente, e al lucchetto che stava sul davanzale umido di rugiada si aggrappava una formica col folle tentativo di afferrarlo e portarlo via. L’aria era fredda, argentea, con riflessi d’oro; e anche dentro la camera le quattro grosse fiammelle dei ceri, così gravi ed immobili che parevano d’oro massiccio, spandevano sulle pareti grigie un chiarore di sole nascente.

Tutto era fermo, freddo, luminoso. Anche il morto, vestito di nero, con gli stivali lucidi e la camicia inamidata, con le dita durissime intrecciate sopra un piccolo crocifisso d’argento, pareva una statua di marmo rivestita con gli abiti un po’ troppo larghi di un uomo vivo. Fiori bianchi posavano immobili come dipinti sul suo abito nero e gl’incoronavano la testa candida; ma il loro odore andava tutto verso la finestra come un pensiero che fugge.