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ghie apparivano e sparivano desiderose, pareva tentasse di aiutare a svolgere gl’involti, fissando quasi con angoscia le cose che ne venivano fuori: cose grasse e odorose, carni secche, pesci salati, scatole di conserve: ma il padrone lo allontanava con la mano scarna, vinto sempre più da una inquietudine rabbiosa, che non gl’impediva però di cacciarsi in tasca lo spago dei pacchetti, di metter via la carta unta, buona ad accendere il fuoco, e infine di collocare le provviste nell’armadio in modo che ogni cosa fosse a suo posto al riparo dell’umido e dei mali propositi del gatto.
Allora il gatto, non potendo ottenere altro, cercò una carezza, sfregando contro il braccio del padrone la testina vibrante; ma un manrovescio lo mandò giù disilluso.
— Non capisci che mi secchi? Che non voglio più noie da nessuno?
Anche il battente dell’armadio e la sedia ove l’uomo andò a buttarsi stanco, davanti alla piccola finestra, ebbero scosse e spintoni: pareva ch’egli volesse castigare le cose intorno per la loro impassibilità alla sua preoccupazione.
— E del resto posso vendere e andarmene — disse infine con voce irosa: ma la sua stessa voce, nel grande silenzio, gli parve un’eco, un suono che non provenisse da lui.