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mise un piede fuori della coperta, un piede piccolo, bianco magro come una mano, ma energico, pronto alla fuga. E tutto il suo corpo s’inarcò. Tentava di alzarsi; pareva avesse aspettato pazientemente quel momento, per muoversi, per cercare di fuggire ancora; adesso che l’infermiere non poteva più fermarlo.
D’un balzo le donne gli furono sopra, lo costrinsero a stendersi, gli rimboccarono le coperte: ed egli obbedì, docile; ma Sarina non si fidava e mentre la serva andava giù a riempire d’acqua calda le bottiglie, ella sedette accanto al letto, appoggiandosi tutta sul malato e parlandogli con parole infantili come si fa coi bambini per tenerli buoni.
Egli sembrava tornato buono, fermo, con gli occhi chiusi: ma dal suo posto Cristiano vide una cosa che lo impressionò più di tutte le altre vedute quella sera: il malato tentava di mordere la mano che lo accarezzava. E pareva volesse farlo di nascosto, che gli altri non se ne accorgessero: ed era una specie di rivolta, muta, impotente; un rosicchiare di prigioniero alle sbarre del carcere.
Allora Cristiano si accorse di un’altra cosa, più grave ancora. Che soffriva. Il dolore, l’inquietudine, la paura, tutti i sentimenti che fino a quel momento aveva provato, sì,