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E io che avevo commesso il delitto avevo l’impressione di subire un’ingiustizia, perché mi si negava il diritto, il modo di ripararlo, o almeno d’espiarlo con un castigo qualsiasi.

Solo per amore di Fiora ed anche per quel senso di attesa che mi faceva sperare mio malgrado, non andavo a denunziarmi.

Ma a giorni si ridestava in me una sensualità feroce: mi pareva di aver diritto alla donna ch’era stata mia, che doveva essere ancora e solamente mia. Era come se fossi stato io il violentato e pretendevo una riparazione.

Ma tutte queste tempeste si sbattevano entro di me, inutilmente, come in un vulcano chiuso: fuori dovevo sembrare un po’ idiota, e nessuno si curava di me, neppure la zia, che pensava solo al mio benessere materiale come a quello delle sue bestie.

Eppure bastava che una foglia, un fiore, una piuma calda di sole cadessero dal muro, davanti a me, per commuovermi: li prendevo fra le dita, li esaminavo, ne sentivo l’odore, il colore: le bestie, no, non le toccavo e non le amavo; ma quelle piccole cose mute e vagabonde mi piacevano; si rassomigliavano a me: e odoravo a lungo i fiori, fino ad appassirli, e li baciavo pensando a Fiora.