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Ed ella mi prende il taccuino di mano e scrive senza esitare:

“Fiora”.

Guardai a lungo quel nome: poi tornai a guardai lei; sì, non poteva avere altro nome che quello.

“Fiora! Sei sola in casa?”.

“No, c’è la mamma e il capoccia che si sente male: mio padre è andato in paese”.

“Il campo è tuo?”.

— Sì, sì — ella accennò subito, voltandosi a guardare la sua terra e poi fissandomi di nuovo con una lieve aria di superbia come per farmi sentire meglio la sua condizione.

Infatti io mi sentii un po’ intimorito; ma tosto ne provai umiliazione e rabbia. Eppure se mi riesce ti voglio baciare pensai: e quasi senza accorgermene tolsi i rami dalla siepe ed allargai il varco.

“Vuoi venire a vedere il mio terreno?” Le feci cenno di entrare, tesi la mano in giro indicandole anch’io la mia proprietà; e come lei esitava le presi il lembo della manica e la tirai dolcemente; bastò questo per farle varcare la siepe.

Si camminò un po’ assieme sull’erba; lei guardava attorno curiosa, sebbene non ci fosse nulla di particolare da vedere; passando accanto ai cespugli