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e non potevo sbagliarmi: si andava dritti per la strada provinciale; c’era una grande casa colonica subito prima di arrivare al terreno, e in mezzo a questo, proprio nel centro un po’ elevato, un platano secolare, dal quale appunto la località prendeva il nome: "Il Platano".

"Il Platano": non potevo sbagliarmi. E andavo andavo, nel sole di primavera, lungo la strada provinciale, col mio cestino colmo, pensando a questo grande platano, al quale del resto avevo spesso pensato durante quegli ultimi anni: alla sua ombra mi sarei sdraiato dopo aver visitato bene il terreno, studiando il modo di cominciare la coltivazione.

Mi pareva di andare alla conquista di un continente nuovo, da civilizzare e sfruttare: mi avevano insegnato come si innestano le piante e quando si semina l’orzo e il trifoglio; e l’apicoltura e la composizione dei concimi. Ero certo che in breve, con l’aiuto di un buon contadino, avrei ridotto il terreno in un fertile podere.

Mancava la casa, è vero; ma in principio bastava una capanna. Meglio una capanna che la casa della zia.

Per quel giorno, poi, mi bastava l’ombra del platano. Cammina, cammina; attraversavo una regione perfettamente incolta e deserta, con prati