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— Dirai loro che la creatura ha avuto tutta la notte la febbre: e l’ha ancora — avvertì Albina.

Elisabetta non credeva se non coi propri occhi: depose dunque il vassoio e andò ad osservare il bambino. E il bambino aprì gli occhi e la fissò: lo stesso sguardo pensieroso e profondo rivolto a Davide quando questi l’aveva sollevato dalla strada.

Elisabetta ebbe una strana impressione: le parve di riconoscere quello sguardo; ed esaminando meglio gli occhi del bambino si convinse che rassomigliavano a quelli di Bona, quando ancora il dolore non li aveva appassiti.

Poi andò a portare il caffè ai padroni. Appena si avvicinò al letto vide che anche Bona teneva gli occhi aperti, che l’aspettava — non per il caffè, certo — e che il suo sguardo profondo e ancora innocente, rassomigliava, sì, a quello del bambino.

Il padrone, invece, dormiva ancora, di un sonno pesante che neppure la voce delle due donne turbò.

— È stato agitato tutta la notte — disse la moglie. — Parlava e parlava, litigava col prete e col brigadiere che non volevano incaricarsi del bambino. Poi è stato sveglio a lungo: adesso lasciamolo dormire.