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si alzasse per alzarsi anche lui e continuare nella sua protesta. Ma neppure il padrone si mosse. E così, per quella notte il bambino rimase in casa.

La serva Albina lo portò a dormire nel suo letto, poiché Elisabetta non volle incaricarsene. Aveva fatto il suo dovere, Elisabetta, rifiutandosi a portarlo fuori di casa, ma non intendeva perdere il sonno per lui: non aveva pazienza coi bambini, d’altronde, fossero pure bambini smarriti e sofferenti.

Anche la padrona era ricaduta nella sua triste indifferenza: lasciò che Albina le prendesse di grembo il bambino già di nuovo addormentato e lei rimase accanto al fuoco.

Le serve avevano ciascuna la sua camera, al pian terreno: camere grandi e tristi, arredate con vecchi mobili, armadi alti fino al soffitto, casse antiche, letti medioevali.

In quella di Albina gli oggetti avevano un aspetto ancor più grave, quasi misterioso, illuminati com’erano da una fiammella che ardeva notte e giorno entro un bicchiere giallognolo a metà