Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/30

via il sacco, scoprendo le grosse spalle rivestite di una giacca da cacciatore; poi sollevò la testa grossa pur essa e avvolta da una nuvola di capelli neri polverosi, infine puntò i gomiti sulla stuoia, ma tosto si lasciò ricadere come impotente ad alzarsi: dopo qualche attimo, però, si volse e si mise a sedere, d’un colpo, con le gambe lunghe distese, le mani aperte appoggiate a terra, la testa così abbassata sul petto che i capelli gli velavano il viso grigio e duro come scolpito sulla pietra: aveva gli occhi chiusi e tutto un aspetto di Sansone cieco.

Davide lo guardava con un po’ di derisione.

— Adesso sentiremo anche il suo verbo — pensò; ma intanto si rimise a fumare sospendendo la sua decisione di alzarsi e di uscire.

— Davide D’Elia, — cominciò a dire l’uomo, dapprima come parlando fra sé e poi a poco a poco alzando la voce e in tono alquanto declamatorio, — la sua serva vecchia ha perfettamente ragione. Manca di rispetto e di obbedienza ai suoi padroni, ma parla secondo la sua coscienza. Non si manda via così una creatura smarrita. Oh, se la famiglia D’Elia non ha un pezzo di pane da dare a un bambino povero a che è ridotto il mondo?

— Ma sta’ un po’ zitto! — gli disse Elisabetta, sebbene egli prendesse le parti di lei.