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di giorno in giorno si faceva più grave e mi tirava giù e mi atterrava. V’erano dei giorni in cui veramente mi sembrava di non potermi più sollevare di terra. Me ne andavo sulla riva del mare, poiché in casa della zia soffocavo, e stavo giornate intiere buttato sulla sabbia, istupidito dal sole e dalla disperazione.

Non avevo neppure scritto a Fiora: che cosa dovevo scriverle? Non avevo più nulla da offrirle.

Non avevo neppure parlato del furto al mio creditore: che gliene importava? Egli mi avrebbe preso il terreno, con grande suo vantaggio.

Non volevo più pensare all’avvenire: accada quel che vuole accadere: facciano di me quel che vogliono: mi prendano tutto, mi mettano in carcere. Adesso sono davvero sordomuto, sono il vagabondo errante lungo la riva del mare; festuca fra le festuche rigettate dalle onde.

La spiaggia a volte si pienava di gente. I bambini s’affollavano intorno a me come intorno ad un annegato: io restavo indifferente. Chiudevo gli occhi, li riaprivo: ero di nuovo solo, accanto a una barca capovolta coperta da un drappo, che mi dava l’idea di una barca morta: un’altra, più in là, verde e rossa, sembrava un grande frutto strano caduto sulla sabbia.