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Camminavo come un ubriaco: sebbene convinto che il portafoglio mi era stato rubato dai mietitori, non osavo affermarlo neppure a me stesso. E se mi ingannavo? Avevo un rispetto della giustizia così forte, per la stessa ingiustizia che mi perseguitava, che non volevo accusare nessuno.

Eppoi, passato il primo stordimento, a misura che camminavo in quella strada di paese sconosciuto, accompagnato da una guardia come fossi io il colpevole, provavo un senso di rimorso, ed anche un oscuro timore di cose peggiori: sentivo che con la perdita del denaro non mio, con quell’umiliazione e quel danno, scontavo anch’io qualche cosa.

E il lungo e comico peregrinare mio e della guardia prima di ritrovar giustizia mi richiamò a me stesso. In questura il Commissario non c’era, e neppure nella trattoria dove di solito mangiava, e neppure al caffè.

Finalmente lo si trovò che passeggiava solitario con le mani intrecciate sulla schiena, lungo la stessa strada che conduceva al mio terreno. Mio? Non più mio perché il droghiere me lo avrebbe preso. A questo pensiero l’angoscia mi serrò forte il cuore: e il mio aspetto doveva rivelare tutto il mio avvilimento, perché il Commissario