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alto e forte da stritolare ogni cosa sotto il mio piede.

In questo stato di furore tornai nella casa di Fiora: ma invece di passare per l’aia come l’altra volta entrai dal portone laterale che metteva nella stalla.

Grandi vacche grigiastre e un bel toro ricciuto vi sonnecchiavano, immobili come idoli di pietra: la donna che avevo notato nel passare poco prima buttava secchie d’acqua per terra; nel vedermi sulla soglia mi venne incontro domandandomi qualche cosa: era piccola coi capelli grigi e gli occhi azzurri; doveva essere la madre di Fiora. E poiché io non le rispondevo si fece a un tratto pallidissima e spalancò gli occhi spaventati: mi riconosceva.

La sua paura fece cadere la mia rabbia; non solo, ma accrebbe in me il senso della vergogna e del rimorso: feci quasi per inginocchiarmi sulla soglia, domandando perdono alla madre per il male che avevo fatto alla figlia; ma dall’aia rientrava il ragazzetto col cane e mi irrigidii. Anche la donna stava immobile come le sue vacche, impietrita dallo spavento e dalla sorpresa. Le porsi un foglietto dove avevo scritto: “Desidero parlare con Fiora”.

Anche lei non sapeva leggere: guardò il foglietto da una parte e dall’altra, poi