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cacciò fin dentro l’anima: sguardo d’odio e tuttavia di fiducia in me.
Alla mia volta io pensavo di vincerli tutti e due; con l’astuzia, ma vincerli.
Intanto rimanevo fermo al mio posto.
— Vattene, gnomo, — gli dicevo con gli occhi, — vattene, immagine viva della mia disgrazia; torna nella notte donde sei venuto: io ti porterò via la creatura, ma ti porterò via anche tua figlia; sono mie tutte e due, e voglio averle e le avrò: non so come, ma le avrò, a dispetto tuo e della mia disgrazia. Domani...
Il riavvicinarsi della zia mi ruppe in mente i propositi per il domani. Cauta, come se l’ometto fosse ancora lì, si chinò sul tavolino e scrisse sul quaderno:
“Hai fatto bene a promettere: ma come manterrai? E se non manterrai ti metteranno in carcere. L’unico rimedio è di andartene in America: io ti aiuterò”.
Mi fece leggere; poi a imitazione dell’ometto ridusse a pezzi il foglio.
Io non risposi, e forse ella credette che prendessi tempo a pensare, ad accettare la sua proposta.
Io non risposi, perché non avevo nulla da cambiare alla risposta già data.