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rigidità ed anche il suo incosciente istinto di commedia; il viso le si deformava, si faceva bianco, con due solchi di dolore infantile intorno alla bocca.

D’un tratto parve appigliarsi a un nuovo metodo di difesa: si rianimò, e indicandomi col dito, sempre però rivolta all’uomo, cominciò a fare dei segni maliziosi con la testa.

Intesi quello che diceva: che non ero tanto colpevole come l’uomo affermava; che forse la ragazza mi aveva dato ascolto volentieri. Allora l’uomo trasse dalla tasca interna della giacca un grosso portafoglio nero legato con uno spago; l’apri, ne tolse un foglietto piegato in quattro, che spiegò, e lesse. Riconobbi subito il biglietto che avevo buttato alla finestra di Fiora: mi sembrava di sentire le parole che avevo scritto con tanta passione, e non mi pentivo, anzi un’onda di tenerezza mi saliva dal cuore, al ricordo del martirio di quell’ora: solo mi dispiaceva di vedere il foglietto fra le mani adunche dell’uomo, e pensavo che Fiora dovesse essersene valsa per difendersi, per dimostrare che il suo fallo era involontario.

La zia ascoltava, con gli occhi aperti, di nuovo triste e vinta: si volse a guardarmi e io le accennai di sì: sì, il biglietto era mio.