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Così passavano i giorni e le notti, tutti eguali, monotoni eppure dolci in fondo, irradiati dalla luce del mio segreto.

Ancora mi pare di vedere la zia col suo vestito grigio, i suoi capelli grigi, il viso grigio, muoversi leggera e rigida, come fatta di stagno, con un piccione violaceo in mano e l’altro sulla spalla. Lavora tutto il giorno senza concludere niente: ha la manìa dell’ordine, degli oggetti messi al loro posto, della pulizia, del silenzio.

Dio mi perdoni, ma credo ch’ella mi preferisse e mi mantenesse più che per pietà perché non parlavo: perché me ne stavo nel cortiletto e facevo parte dei suoi animali domestici.

Ma al sopraggiungere dell’estate, coi primi calori, sentii qualche cosa ribollire in me, come se il sangue intorpidito mi si sciogliesse d’un tratto nelle vene, e la mia volontà si risvegliasse.