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Per lungo tempo, tutte le notti, i gemiti balbettanti eppure tanto espressivi del violino di Gabriele risonarono dentro di me, intorno a me. Quasi mi perseguitavano; li sentivo anche nelle notti di vento, attraverso l’ansito del torrente, nel silenzio, da vicino e da lontano: sprizzavano dall’erba dell’orto, dalle note dei grilli, dallo scricchiolìo dei mobili. E tutto mi pareva amasse e soffrisse, perché amavo e soffrivo io.

Non arrivarono le cartoline ed i libri promessi da lui: neppure un saluto suo; mai. Solo, in inverno, anzi in tempo di neve, scesero ancora dai monti il notaio ed il servo, intabarrati, coi cappucci orlati di nevischio.

Grandi accoglienze furono fatte loro, — poiché mia madre trovava naturale, anzi corretto, il contegno silenzioso di Gabriele: — alto brillò il fuoco nel camino, tutti i fornelli furono accesi, le serve corsero per la città in cerca di robe buone. Ma il notaio, pallido e freddo, non si accostava alla fiamma, non sorrideva mai: anzi pa-