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zio vescovo — rispondo io con noncuranza, come se tutti i miei antenati siano stati vescovi e baroni.

Sebbene egli non badi molto alla mia risposta, adesso le sue parole mi pungono.

— Quando sarò ricco non farò altro che comprare bellissime cose: mobili antichi, sopratutto del Cinquecento, ferri battuti, statue, quadri, cristalli e miniature. Ma ci arriverò, ad essere ricco? Mio padre, ripeto, afferma che ho le mani come un crivello. — Di nuovo si guardò le mani, facendo loro uno scherzoso cenno di rimprovero. — Del resto, a che serve il denaro, se non per soddisfare i nostri desideri, le nostre passioni? La vita di mio padre, oh no, io non voglio ripeterla. Lavorare, sfidare il sole e la neve come un pastore, vivere in una casa tetra e povera, per mettere da parte qualche moneta, che poi gli altri si godono, oh no, davvero: si offende anche Dio a vivere così.

Io avrei voluto difendere il notaio, la cui figura austera mi sembrava degna di ogni rispetto; ma in quel momento rientrò