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egli vi picchiasse su le dita. Ogni sua parola mi sembrava la verità stessa, ed ero orgogliosa che egli parlasse così con me. Senza dubbio egli sapeva che io potevo capirlo; e volevo dimostrarglielo, ma avevo paura di rompere l’incanto. Egli, d’altronde, non pareva desideroso che io parlassi: parlava lui per conto mio.

— Anche tu sei una creatura felice: hai diciassette anni, un padre che lavora per te, una mamma santa, una bella casa, tanti libri che.... non sai leggere. Eppure ne leggevi uno, stamattina, e come bello.

— Io non leggevo.

Egli non voleva contradirmi: si guardava ogni tanto le unghie della mano sinistra e volgeva or di là or di qua la spilla della cravatta che pareva un piccolo girasole.

— E ti ho persino invidiato, questa mattina, quando ho veduto lo sfondo della tua finestra, e quei libri, e quel mobile arabo da museo. Ma dove lo avete pescato?

— L’abbiamo avuto in eredità da uno