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— Suonare? Che cosa? Nulla: neppure le campane.
I miei fratelli cominciarono a tirare corde immaginarie, riproducendo i rintocchi delle campane quando suonavano per accompagnare i funerali: egli però adesso bada solamente a me, ed alza la voce per dominare il frastuono.
— E allora, che fai, tutto il giorno?
Io guardo la mamma, quasi supplicandola a non smentirmi.
— Lavoro. Si è tanti, in casa, e le serve non fanno mai quanto occorre.
I miei fratelli pretendono di continuare l’ostruzionismo, urlando e ridendo: ma la mamma, visto che le cose si avviano verso il serio, li fa sgombrare anche dalla stanza, e lei stessa va in cucina con la scusa di assicurarsi se il caffè è preparato bene.
Ed eccoci soli, l’una di fronte all’altro, attraverso lo spazio della tavola sulla quale gli oggetti in disordine mi pare partecipino allo sgomento che mi riafferra l’anima.