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za di non commettere azioni illecite, avevo anche la manìa delle privazioni.
Eppure mi abbandonavo a quello che la mia mamma considerava il più grosso peccato: la continua avida lettura di libri non adatti alla mia età e sopratutto alla mia educazione. Naturalmente leggevo di nascosto, giorno e notte. In quella camera, dove i topolini rosicchiavano le carte, e le rondini facevano i loro primi esercizi di volo, anche la mia anima si apriva lentamente, da sola, ora per ora, foglio per foglio di libro, come la rosa centifoglia che pare aperta del tutto mentre conserva fino in ultimo, nel suo centro, qualche petalo ancora chiuso.
Bisogna dire che il sontuoso scrittoio e l’antico scaffale di noce erano pervenuti alla mia famiglia per l’eredità di un parente: un vecchio vescovo, uomo colto e studioso, morto in odore di santità.
E il ricordo di lui spandeva davvero, nella camera dove io mi rifugiavo, un senso di profumo. Era, certo, l’odore delle frutta appese alle travi, e quello che ve-