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na, ricoperto misteriosamente di foglie di acanto: sollevate le quali, apparivano i fruiti primaticci dai colori delle pietre preziose; e d’inverno le olive; e, quando non c’era altro, le bacche nere lucenti del mirto e i frutti sanguinanti del corbezzolo. Il vecchio allora rappresentava davvero un essere aderente alla natura, il mito della terra che offre tutti i suoi doni, anche i più selvatici, all’uomo che sa apprezzarli.
Ed io li apprezzavo, più che per il loro sapore, per ciò che rappresentavano, per i giorni e le notti, il clima, i pericoli, la poesia tutta che li aveva maturati: la figura lineare e granitica del vecchio campeggia ancora nel fondo della mia memoria simile ad una di quelle pietre monumentali con vaghe forme umane, che i popoli preistorici ergevano nelle loro solitudini rocciose, come idoli significativi.
Ma non ero golosa, e non profittavo neppure delle frutta attaccate alle travi della camera alta, che mi era facile tirar giù: non ero golosa e, oltre alla coscien-