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viola, secondo il piano della lontananza: tutto l’orizzonte ne era cinto, eppure rimaneva ampio, aereo, come se le montagne fossero nuvole. Le più vicine, sorgenti dalla valle che io non vedevo perché un argine di orti e di giardini mi ci separava, erano in parte verdi di boschi, con larghe macchie argentee di granito e zone clorate di felci e di asfodelo.

Le roccie, all’ombra delle cime più alte che parevano monoliti, coperte di un musco folto come una corteccia vellutata, in primavera si arrossavano di fiorellini porpurei: poi, fino all’estate, una festa di colori scoppiava su tutto il monte. Le chine biancheggiavano di asfodelo fiorito, il verbasco argenteo striava il verde vivo delle felci, il bosco di lecci diventava tutto d’oro.

L’autunno guastava la festa; i colori impallidivano, si scomponevano, si oscuravano; finché, d’inverno, tutto si faceva nero, nuvole e roccie si mescolavano in un continuo subbuglio quasi sinistro; e