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intorno a me, nell’aria trasparente e senza temperatura, nel silenzio solo attraversato, a intervalli precisi, da una lunga nota flautata, un gorgheggio più sostenuto e appassionato di quello dell’usignuolo. Mi torna in mente l’accordo del violino di Gabriele, ma questo che adesso pare sgorghi dall’acqua e ne rifletta il tremolìo verde, è un suono più spasimante e reciso; e vuole, sì, l’indefinibile, ma concretato nella felicità concessa da Dio ad ogni creatura terrena. È il rospo, che chiede amore alla sua compagna.
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Nel ritornare indietro passai davanti alla casa di Marisa, come al solito aperta e deserta: poi, continuando per la mia strada, mi volsi a guardare il villino dei Fanti. La finestra di Gabriele era socchiusa; socchiusa la porta d’ingresso vigilata dai leoni di gesso, più orribili dei leoni veri.