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casetta, io già desideravo abbellirla e fornirla di tante piccole cose necessarie.
Una tendina, un tappeto, un ricamo colorito, sopra un mobile, un vasetto di ceramica, sono spesso, nella casa, come i fiori in un giardino. E anche le cose di cucina mi piacevano, un po’ infantilmente: il frullino per la maionese, con la sua forma complicata di mulino, i piccoli tegami di smalto, lucidi come specchietti da toeletta; la caffettiera che va bene da una parte e dall’altra, le forbici per il pesce, e infine le tazze con le coppie di pavoni iridati che non smettono mai di fare all’amore.
La padrona baffuta del bazar ci serviva di persona, lusingata dell’onore che le toccava, ma già ferma nel proposito di farci pagare tutto il doppio. In cambio mi fece dono di un rotolo di fettuccia, del quale non sapevo invero che farmene, che tuttavia presi con segni di riconoscenza.
Intanto il bazar si affollava di donne curiose. La voce che mio marito doveva