Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 130 — |
ro. Il mio pensiero continuo era questo: «Perché non dico a mio marito che Gabriele mi ha fermato e vuole un colloquio da me? Che ha da comunicarmi, quel disgraziato, che io già non sappia? Lui stesso lo ha detto.»
La mia pena non era per lui, certamente: in fondo egli continuava a destarmi un po’ di paura e molta ripugnanza: la mia pena era per me, che non riuscivo a liberarmi della sua ombra, e ritrovavo qualche cosa di torbido nel mio istinto di silenzio e di inganno verso la sola persona che realmente, dopo la mia mamma, mi voleva bene.
Mi sentivo spinta da una fatalità simile a quella che spingeva i personaggi del libro che leggevo; ed era sempre il fondo romantico del mio temperamento, quello che agiva, lo sapevo benissimo; ma tentavo di spiegarlo con ragioni mistiche.
— Qui c’è un uomo che deve morire fra poco, e sa di morire. È già un’anima sospesa sull’abisso del tutto, o del nulla. Quello che Gabriele ha da dirmi lo aiuterà