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fini del deserto i miraggi d’oro di un mondo fantastico, raccoglievo negli occhi il riflesso di questa vastità ardente, di quest’orizzonte che al cadere della sera ha i colori liquidi della mia iride.
Tutto nella mia mente si assimilava in fantasia: i più piccoli avvenimenti si svolgevano in temi grandiosi; i minimi segni della realtà prendevano forma di simboli, di profezie, di auguri. E tutto mi esaltava, per deprimermi dopo, appena la fantasia si spegneva.
Il mio istinto, pur esso di razza, era quello di nascondermi: anche per le cose e i bisogni più semplici. Nessuno doveva vedere la mia carne, i miei capelli sciolti; anche le mani, nascondevo. A volte, come i deboli animali selvatici, mangiavo di nascosto, negli angoli della casa. Perché? Per il primordiale istinto di salvare il mio cibo dall’altrui bramosìa, o perché l’atto stesso di nutrirsi mi pareva una cosa impura e volgare?
Il mio corpo, infine, non doveva esistere, per gli altri, forse neppure per me