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ra: una scalea di marmo scendeva al mare, un viale alberato conduceva al bosco. In realtà si sentiva il canto del cuculo, che mi ricordava la fanciullezza acerba, quando ancora non conoscevo Gabriele, e domandavo all’uccello melanconico quanti anni mi separavano dallo sposo, dai figli, dalla morte.

Lo sposo è qui, i figli verranno, la morte è lontana. Eppure la voce del cuculo mi attira ancora e, come da bambina, vorrei trovarne il nido, o almeno interrogare di nuovo l’oracolo.

Mentre mio marito si diverte a stuzzicare la Marisa, domandandole se il consorte è stato finalmente messo in carcere, se la nuora ha intenzione di fabbricare altri due gemelli, se il Comune ha fatto nuovi debiti, io scivolo dal letto nuziale, ed a piedi nudi esco nel praticello davanti alla casa: in fondo al vialetto vedo il mare, fermo come una muraglia di cristallo turchino: i gabbiani lo rasentano, soffusi di azzurro; i fiori del prato, tutti rivolti al sole, si piegano in atto di saluto; l’aria è