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fantastico Adone della mia fanciullezza. Forse, poi, non lo era.
E perché allora turbare, sia pure per un momento, la serenità del mio compagno? Non ne avevo il diritto. Le mie fantasie e le mie allucinazioni dovevo tenermele per me, tanto più che erano i rimasugli torbidi di un passato da liquidarsi completamente.
Del resto, appena l’uomo fu lontano, mio marito mi riprese sottobraccio, esclamando:
— Che brutta ghigna, quel disgraziato. Dev’essere malato di fegato.
— Tu — domando io, sempre guardando la sabbia ai miei piedi — non l’avevi ancora incontrato?
— E dove?
— Qui, l’estate scorsa.
— Mai visto, mai conosciuto, mai sentito nominare.
— Speriamo non abiti vicino a noi.
— Perché. Hai paura?
— Paura di che?
— Che ci venga a disturbare.