Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/331


— 325 —


hai spinto in su: ora vorrei spingerti io. Ne avessi, di quattrini! Non cento scudi ma cento mila te ne darei, e con la certezza di riaverli raddoppiati.

— Gerusalè! — replicò l’altro sullo stesso tono. — Sai cosa devo dirti? Che di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno, dove tu andrai vivo e sano alla prima occasione! Dammi almeno un bicchierino d’elisir di china, se ce l’hai. Te lo pago, sai!

Predu Maria gli dette l’elisir di china, e rifiutò i denari, che l’altro allora buttò per terra e non volle più raccattare.

E i due amici si rividero spesso, ma i loro discorsi erano dispettosi e beffardi come quelli di due nemici. Entrambi si offrivano a vicenda quello che possedevano e sopratutto quello che non possedevano, e si dichiaravano pronti a buttarsi sul fuoco l’uno per l’altro, ma non cessando d’insultarsi e di guardarsi in cagnesco; e nei giorni in cui Antoni Maria non si lasciava vedere l’altro ricadeva nei suoi morbosi rimorsi.

— Io l’ho rovinato, — pensava. — Per colpa mia egli è ridotto così.

Un giorno andò a cercarlo nell’ovile, e lo trovò solo, buttato su una bisaccia, livido in viso e con le pupille fisse e dilatate. Un cane grigio, feroce, incatenato