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deva sul muro della chiesa, e fargli sorbire qualche cucchiajo di semolino o di caffè.

Sua madre era morta, ed ella la ricordava appena. Era una donna oriunda di Oliena; una lavoratrice che andava sulle montagne per raccogliere scorza di ontano, con la quale faceva una tinta e tingeva l’orbace dopo averlo ammorbidito pigiandolo per ore ed ore come si pigia l’uva.

Una volta, tornata appena da un giro per i villaggi, la povera iscarchiadora1 si era buttata sulla stuoja battendo i denti e delirando. Diceva d’aver trovato una brocca piena di monete d’oro, e stringeva le bracca al petto e urlava se qualcuno le si avvicinava. Ella morì così, fulminata dalla febbre perniciosa: dopo una vita di miseria se n’era andata almeno con l’illusione di stringere fra le braccia un tesoro.

A dieci anni Marielène era già seria e pensosa come una donna anziana. Il suo sogno era di proseguire il mestiere di sua madre; ma qualche anno dopo le offrirono un posto di servetta in una piccola locanda, ed ella accettò. L’alberguccio era di fronte alla casa Dejana; ella sentiva gli urli del patrigno di Predu Maria, e quando il terribile uomo entrava nella

  1. Pigiatrice.