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il nonno 7

di carattere gaio, che spesso e volentieri trovava il lato ridicolo delle cose e delle persone.

— È un povero orfanello senza padre: sua madre è malata, - ci disse, parlandoci del bambino che conduceva con sè. - Molto malata, e per di più poverissima.

Il bambino, seduto in fondo al carro preistorico che ci trasportava, non pareva preoccupato della sua misera sorte. Con una fronda aizzava i buoi, rideva, gridava. Solo di tanto in tanto rivolgeva i suoi luminosi occhi neri verso Nannedda, la guardava fisso, poi scoppiava a ridere e nascondeva fra le manine il visetto rosso pieno di fossette. Era intelligentissimo. Il carro, sul quale sedevano solo le donne, mentre gli uomini precedevano a cavallo, proseguiva il suo lento viaggio attraverso le campagne verdi, incolte, deserte. La giornata era bellissima, un po’ velata: le montagne verdi o azzurre sembravano vicine, sotto la linea bianchiccia dell’orizzonte. In lontananza si vedevano come dei fuochi pallidi, fiammeggianti tra il verde della brughiera: erano macchie di ginestra fiorite.

Il conduttore del carro, un piccolo contadino che pareva un etiope, additava col pungolo questo o quell’altro campo, e ne nominava i proprietari, dei quali raccontava vita e miracoli.

— Questa è la tanca di Prededdu Caria, - disse, mentre attraversavamo un pascolo popolato di piccole vacche nere. - Quel giovine e ricco paesano ha sedotto la figlia di ziu Andria, quando questi,