Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
78 | grazia deledda |
rarsi, profondamente colpito per questa ragione, ma anche per la sua forma semplice e suggestiva: io oserei consigliarle di proseguire a scrivere.
«Ho scritto anch’io parecchie novelle e ho tradotto poesie e romanzi italiani; anch’io, nei mesi che passo in questo paesello dell’Olanda meridionale, faccio scuola a una trentina di bambine povere. Come vede, i nostri destini si rassomigliano alquanto: io, però, ho più di Lei fede nella vita; tanto che oso dirle: Ella ha torto a lamentarsi. La povertà è sovente una fortuna (scusi il paradosso). L’uomo povero ha meno occasione del ricco di logorare inutilmente la sua vita: ha più del ricco i mezzi di vivere la vera vita morale; e, se non altro, la vita del povero è più completa perchè egli la deve, anche materialmente, tutta a sè stesso. L’uomo d’ingegno, poi, con un po’ di buona volontà arriva dove vuole. No, creda pura a me, la povertà è la minima delle sventure umane; del resto, la sorte è così capricciosa che spesso dà, spontaneamente e in un attimo, quanto per anni ed anni ha negato.
«Perdoni, egregio signore, se Le scrivo così malamente; vorrei possedere tutto il segreto armonioso ed espressivo della sua bella lingua per poterle spiegare tutte le mie idee filosofiche sulla vita, idee che purtroppo sono maturate nel mio cervello a furia (si dice così?) di esperienze dolorose. Ma voglio sperare che la nostra relazione continuerà, e così non mancherà occasione di conoscerci meglio e di discutere, ecc., ecc., eccetera».