Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
54 | grazia deledda |
l’ha respinta senz’altro. Non ho mai avuto neppure la soddisfazione di avere un bel vestito nero. La mia famiglia è così povera che ho fatto sacrifici enormi per farmi studiare alle scuole normali. Sono maestro, ora, e finito il servizio militare mi attende davvero un «brillante avvenire». E moriamo, dunque!
Egli diceva a sè stesso: «e moriamo dunque!» come qualsiasi altra persona dice: «e andiamocene!» quando vuol lasciare un luogo ove si annoia.
Egli non era ambizioso nè orgoglioso; buono in fondo e mansueto come uno di quei gattini maltrattati da bambini crudeli, conservava però un sogno superbo: avrebbe voluto, prima di morire, compiere qualche atto di coraggio, o almeno dare alla sua morte volontaria un’apparenza di sacrifizio.
Però sognava anche d’innamorarsi d’una signorina bella e ricchissima o d’una grande artista maritata e onesta. Queste signore lo riamavano; ma tutti gli ostacoli del genere sorgevano fra loro. Allora egli si suicidava. Avrebbe voluto innamorarsi di quelle signore, anche non riamato, tanto per dare alla sua morte l’apparenza d’un suicidio per amore.
E ciò che lo rendeva soprattutto melanconico era la certezza che i suoi sogni poetici non si sarebbero mai avverati; la sorte dei poveri non gli avrebbe permesso che di morire di inedia morale o tutt’al più di disperazione.