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36 | grazia deledda |
La notte passò, tormentosa per tutti. Marianna non dormiva: il ferito gemeva; Sebiu sognava strane cose. All’alba arrivarono i carri del carbone, ed egli avverti Marianna di non uscire dalla capanna. Ella sperava sempre di veder da un momento all’altro suo padre sollevarvi ed essere in grado di partire; ma la febbre, nonché diminuire, cresceva. Egli ricominciò a delirare.
Allora anche lei, come Sebiu nei primi momenti, perdette la testa: chiamò il guardiano e gli disse che voleva far venire il medico.
— Dirò che mentre io e mio padre viaggiavamo a cavallo, andando alla festa campestre di San Costantino, ignoti malfattori ci hanno assalito.
— Ma il dottore riconoscerà che la ferita data da quattro giorni! - osservò il giovine. - Il nostro medico è un uomo rozzo, severo. Egli denunzierà il caso al pretore, non dubitarne.
Marianna cominciò a piangere.
— Ma non bisogna lasciarlo morire così! Gli verrà la cancrena. Egli morrà qui! Egli morrà qui!
Sebiu la guardava con pietà; e siccome ella continuava a disperarsi, le diede un consiglio:
— Sentimi. Conosco una donna del mio paese, una vecchia famosa per curare i feriti anche i più gravi. Ha curato anche dei banditi, e tutti la conoscono e l’apprezzano per la sua discrezione e la sua abilità. Io volevo chiamarla subito, ma a dire il vero il primo giorno ho creduto che non ci fosse più nulla da fare, e poi ho sempre sperato che del medico non ci fosse bisogno...