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28 grazia deledda

ripreso il colorito naturale: la febbre era quasi cessata, il ferito dormiva. Le ore passarono; il veliero partì verso sera, spinto dal vento favorevole: e il guardiano, rimasto di nuovo in compagnia del suo ospite misterioso, riuscì a fargli sorbire qualche cucchiaio del brodo dei marinai e qualche goccia d’acquavite. Durante la notte la febbre riassalì il ferito che delirando parlava del suo cavallo, di una bisaccia colma di frumento, e pregava una donna, Marianna, di bruciare la tonaca.

Il giorno dopo arrivarono i carri del carbone, e Sebiu rimase tutto il giorno nella spiaggia. Un giovinotto gli consegnò una bottiglia di latte e le uova mandate da Pottoi, e alcune pastiglie di chinino inviategli dal sorvegliante. Egli prese il chinino, ma continuò a sentire un ronfio e dei fischi entro le orecchie, e a momenti gli pareva che il mare e la landa avessero la stessa ondulazione e la capanna si movesse come una barca.

Il ferito migliorava. Al terzo giorno, verso sera, la febbre cessò, ed egli parlò d’andarsene. Pur dichiarando a Sebiu una viva riconoscenza, non gli disse chi era nè chi l’aveva ferito. Pareva che un solo pensiero lo preoccupasse.

— La camicia... te la rimanderò nuova... La farò subito cucire.

— Da chi? Da Marianna? - domandò Sebiu.

— Che sai tu di Marianna?

— Non avete parlato che di lei!

— Ebbene, è mia figlia! Di chi dovevo parlare, povera orfana?