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solitudine! 27


Ma Sebiu non aveva voglia di scherzare. Col pensiero stava sempre là, accanto al suo pericoloso ospite. Parecchie volte, mentre i marinai che servivano anche da facchini, caricavano il carbone sul veliero ancorato nella rada, egli entrò nella capanna e sollevò timidamente i lembi del sacco. Ogni volta credeva di veder morire il vecchio, che non si moveva nè si lamentava più.

Nel pomeriggio il sorvegliante partì. Sebiu gli consegnò la lettera «alla famiglia di Onofrio Sanna» pregandolo d’impostarla appena giunto al paese, e lo incaricò di dire a Pottoi che gli mandasse uova e latte.

Il veliero non partiva fino al tramonto: i marinai però non scendevano più a terra. Dalla spiaggia Sebiu li vedeva muoversi fra le corde, le vele, i grandi cestini del carbone, agili e selvaggi come negrieri, e li sentiva parlare con un linguaggio che egli non riusciva a capire. Quando prepararono la zuppa, il capitano, un vecchio ligure dal volto e i capelli color d’arancia, invitò coi gesti Sebiu a prender parte al pranzo. Il guardiano rispose di no; e si toccò la fronte e il polso, accennando che aveva la febbre.

Allora il capitano gli mandò con un marinaio una scodella di zuppa. Sebiu l’accettò con riconoscenza, ma pregò il marinaio di lasciargli la scodella: avrebbe mangiato più tardi.

Egli pensava sempre al ferito: voleva conservare la zuppa per lui. Rientrò e sollevò il sacco; e con meraviglia vide che il viso del vecchio aveva