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22 grazia deledda


— Su, coraggio! Un vecchio arzillo come voi non deve spaventarsi per così poco. Ne abbiamo viste, eh? E quegli uomini... quei due o tre, dunque, son fuggiti? Di che colore avevano i baffi? Siete nuorese, buon uomo? Oh, ecco qui: avete la spalla tutta rovinata; è ferita di coltello? Brava gente i nuoresi, vero?...

— Di coltello... di coltello, sì! Ahi, ahi, piano, cristiano! Sono un uomo morto! Piano! Sono morto!

— Se foste morto non gridereste così! Su, coraggio! Mettetevi giù: vi fascerò.

Fasciare! era presto detto: nella capanna non v’era uno straccio. Sebiu però non perdette tempo a guardarsi intorno. Si levò la giacca e il corpetto (egli aveva abbandonato il costume per economia) e si levò la camicia bianca, abbastanza pulita. Il suo dorso bianco ed agile come quello di un adolescente, ebbe, al chiaror della fiamma, come un riflesso di marmo. Per far presto, egli stracciò la camicia, aiutandosi coi denti: con una delle maniche formò una specie d’impacco sul quale versò l’acqua della brocca, e in pochi momenti lavò e fasciò la ferita, che tagliava profondamente la carne intorno alla scapola sinistra del vecchio.

— Ora vi darò un po’ d’acquavite - disse poi, estraendo un fiaschetto dal cestino. - State tranquillo, su, state allegro!

Ma, nonostante questo consiglio, il ferito batteva i denti e piangeva. Sebiu gli sollevò la testa e gli mise il fiaschetto sulle labbra.