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186 | grazia deledda |
lete? La disperazione fa impazzire anche l’uomo saggio.
La straducola, come aveva detto il pastore di Burgos, era solitaria, bianca di sole e di calce. Un silenzio di cimitero regnava sul villaggio tutto bianco, sopra il quale la montagna calcarea innalzava i suoi vertici d’un candore azzurrognolo, qua e là solcati come da vene d’ombra.
Anche il cielo era chiaro, metallico: allo zenit, sopra la testa di ziu Tòmas, il sole velato, senza raggi, pareva una grande luna misteriosa.
Il vecchio stava per smontare, quando un uomo, un borghese alto e grasso, vestito di nero e con una catena d’oro scintillante sul petto sporgente, uscì dal portoncino socchiuso della maga.
Ziu Tòmas lo guardò, e gli parve di aver altra volta veduto quel viso largo, giallognolo e cascante, sul quale gli occhi e i baffi neri, il naso, la bocca, il mento rotondo, si notavano per la loro estrema piccolezza. Sì, altra volta... dove, quando? Ziu Tòmas non ricordava bene; ma gli pareva d’aver altra volta notato quel viso caratteristico, e di averlo trovato ridicolo. E fu contento nel vedere che il borghese si allontanava senza neppure guardarlo.
Smontato, picchiò forte con la mano aperta, ma nessuno apparve, e il rumore dei colpi battuti al portoncino si spense nel silenzio della strada.
Allora il vecchio entrò, tirandosi dietro il cavallo, e si trovò in un cortiletto desolato, che pareva scavato nella pietra calcare. La casetta