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il ciclamino 177


Di tanto in tanto l’uomo si fermava sotto gli alberi, si curvava e pareva cercasse qualche cosa nell’ombra. Arrivato sotto l’elce si curvò, guardò e cominciò a frugare tra le foglie marcie che coprivano il suolo. E il giovane fiore s’accorse che l’uomo aveva trovato quello che cercava; una pianticella di ciclamino.

Dopo la sua ora di vita, sicuro di aver veduto tutto ciò che di più bello e di più terribile esiste nell’universo, il ciclamino si rassegnò a morire.

L’ombra nemica sradicò la pianticella, lasciando intorno ai bulbi un po’ della terra che li nutriva. Il ciclamino allora si accorse che l’ombra nera non rappresentava la morte: anzi all’improvviso gli parve di vivere una vita più intensa, se non altrettanto felice come quella già vissuta.

Con tutta la sua famiglia di foglie, coi suoi fratellini non ancora sbocciati, il fiore si trovò in alto, vide meglio il cielo, le stelle, abbandonò l’elce natìo, si mosse da un punto all’altro della montagna. Gli pareva di aver la grande potenza di muoversi, come l’uomo che lo portava entro la sua mano concava. E provò una viva riconoscenza per colui che gli procurava tanta gioia.

Arrivarono sotto la roccia che sembrava un lupo. L’uomo penetrò in una grotta che pareva davvero il cuore d’un lupo, nera, aspra, piena di fumo; e dopo aver deposto la pianticella su una