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176 | grazia deledda |
Dal suo cantuccio umido e riparato, il ciclamino vedeva le roccie, gli alberi, la luna, e uno sfondo azzurro coi profili di altre montagne lontane. La luna calava sopra queste montagne. Tutto era silenzioso, puro e freddo. Le stelle avevano tremiti e splendori insoliti: pareva si guardassero le une con le altre comunicandosi una gioia ignota agli abitanti della terra. Il ciclamino sentiva un po’ di questa gioia; e anch’esso tremolava sullo stelo; e non sapeva cosa fosse, e non sapeva ch’era la gioia che fa scintillare il diamante e l’acqua della sorgente: la gioia di sentirsi puro.
E questa felicità durò a lungo; molto più a lungo della gioia di molti uomini felici: durò un’ora!
A un tratto il ciclamino vide una cosa strana, più meravigliosa ancora delle roccie bianche, degli alberi neri, delle stelle scintillanti. Vide un’ombra che si moveva. Il fiore aveva creduto che tutto, nel suo mondo, fosse immobile, o tremulo appena: invece l’ombra camminava. E dopo la meraviglia, il ciclamino provò un senso di terrore. L’ombra si avvicinava, sempre più grande, ergendosi sullo sfondo azzurro, fra i tronchi neri; ed era così alta che nascondeva tutta una montagna ed arrivava fino alla luna.
Era un uomo.