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cattive compagnie | 159 |
raso, giallognolo, la bocca rientrante, gli occhi grigi, avevano una espressione ironica e maliziosa.
— Salute, fratelli, — egli gridò entrando — perdonerete se mi son preso la libertà di disturbarvi. Ma quando ho sentito parlar sardo mi son rallegrato come se avessi visto mio padre.
— Salute! — rispose Elia. — Anche noi siamo contenti di vedere un compatriota. Sedetevi. E di qual paese siete?
— Di Barunèi. Montanaro! Sono cugino di don Simone Decherchi.
Elia aveva sentito parlare dei Decherchi, anche loro nobili decaduti.
— E che fate, a Roma? — domandò al vecchio.
— Son venuto per curarmi di una otite, ed anche per soddisfare al mio antico desiderio di vedere il Papa!
— E l'avete veduto? — domandò Pasqua con viva curiosità.
— Non ancora! Ma c'è una persona che s'è incaricata di farmi ottenere un'udienza.
— Quanto mi piacerebbe di vederlo! Sono nipote del vescovo di Olbia, — ella disse con lo stesso accento con cui il vecchio aveva annuziata la sua parentela con don Simone Decherchi.
Intanto Elia ordinava il caffè e liquori.
— Liquori no! Liquori no! — ella disse spaventata. Ma Elia promise di non bere che il caffè.
Il vecchio sedette, e mentre fuori la pioggia scrosciava furiosa, quei tre isolani cominciarono a parlare del loro paese e dei loro parenti, rie-